giovedì 28 agosto 2008

- De Andrè e Napoli


Più volte Fabrizio De André parlò del suo amore per Napoli, definendola la sua "patria morale", l'unico posto dopo Genova e la Sardegna dove avrebbe vissuto. Tante volte ha manifestato il suo affetto per la città partenopea, la sua musica, la sua cultura, i suoi luoghi.






“Don Raffaè”, unica testimonianza del pianeta camorra della canzone d’autore italiana.



La chiave me l'ha data "Gli Alunni del tempo" di Marotta, dove c'è questo Don Vito Cacace, l'intellettuale della zona, che alla sera raduna tutti quanti gli altri e gli legge il giornale, spiegando che cosa succede. Poi, in certe parti, c'è anche qui l'attacco allo Stato: lo Stato si indigna, si impegna. Sono le parole di Spadolini, quando si precipitò a Palermo in occasione di una delle tante stragi mafiose: " Sono costernato, sono indignato e mi impegno..."







De Filippo era un culto di De André. Come ricorda Massimo Bubola, durante le registrazioni dell'album con l'indiano in copertina nel castello di Carimate le pause erano utilizzate per ascoltare su walkman le commedie di Eduardo. L'"Ah che bello 'o caffè" di Don Raffae' musicalmente parlando cita una canzone di Modugno e Pazzaglia, ma riprende anche il secondo atto di Questi fantasmi, la celebre esaltazione della bevanda più amata dai napoletani.



Benedetto Croce è nella vita e nelle scelte di Fabrizio più che nelle sue canzoni, forse anche perché don Benedetto di musica si intendeva davvero poco, fino ad ostentare la sua lontananza da quest'arte. Di Croce il padre del cantautore fu allievo e discepolo. E Faber lo chiamò più volte in causa:
Sembrerà strano, ma io mi sono formato convinto delle cose che scriveva lui, l'ho ripetuto in chissà quante interviste: don Benedetto sosteneva che fino ai 18 anni tutti scrivono versi e che da quell'età in poi l'umanità di divide in due categorie di persone che si ostinano a scrivere: i poeti e i cretini. Precauzionalmente, visto che diciottenne non sono più e continuo a scrivere versi, preferirei considerami un cantautore"


. E poi: "... mi sono rifugiato nella forma canzone... Forma d'arte non amatissima da Croce, nonostante proprio nella sua città avesse raggiunto livelli artistici maivisti, anzi mai ascoltati prima".






E per completare il crocianesimo de andreiano, Fabrizio, parlando delle sue traduzioni Brassens, Cohen, Dylan) si definiva un traduttore "a occhio e croce", ricordando il discorso del grande filosofo partenopeo sulle traduzioni brutte ma fedeli oppure belle ma infedeli.





Nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà
e presto arriveremo a Durango
Stringimi Maddalena 'sto deserto finirà
tu potrai ballare o fandango
da Avventura a Durango

La nova gelosia
Adattamento di un canto popolare napoletano del
XVIII secolo. La gelosia sarebbe il serramento della finestra, la persiana nuova che impedisce all'amato di guardare la sua bella.




« Fenesta co' 'sta nova gelosia

tu m'annasconne

Nennella bella mia

lassamela vedé

sinnò me moro. »

Fabrizio scelse di includerla nell'album in preparazione dopo averla ascoltata in un'interpretazione di Roberto Murolo che lo affascinò.






"Non sapevo nemmeno io come e perché, ma impazzivo per Bovio e Di Giacomo"

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