mercoledì 3 settembre 2008

- Una storica intervista con Fabrizio De Andrè

Una storica intervista con Fabrizio De Andrè, concessa dopo cinque anni di lontananza dal pubblico e dopo la drammatica esperienza del rapimento del 1979.

Come mai hai deciso, dopo cinque anni, di concedere un'intervista?

Soprattutto per dare una risposta a quanti, malgrado questi cinque anni di latitanza (latitanza dalla canzone, perché parlare genericamente di latitanza qui tra questi monti della Sardegna si rischia sempre di essere fraintesi) mi scrivono per chiedermi quando ritornerò a fare quello che considerano il mio mestiere, cioè quello di fare delle canzoni. Desideravo rispondere loro che mi sono trovato improvvisamente con i serbatoi della memoria completamente vuoti. Ho passato questi cinque anni a rifornirli di dati e di notizie ed ora sto scegliendo tra il materiale meno banale.

Come mai hai sempre avuto un rapporto così difficile, diciamo di assenteismo, con i mass media?

Credo che sia fondamentalmente una questione di carattere. Io ho sempre avuto il timore di essere protagonista, e il terrore addirittura di essere invadente; aggiungi anche che sono pigro. Quindi ho sempre considerato i rapporti con i mass media e in particolare le interviste, uno stress evitabile.

Come mai hai deciso di vivere in Sardegna?Tra l'altro sei stato protagonista con la tua compagna Dori Ghezzi di una brutta storia di sequestro. Malgrado questo continui a viverci, come mai?

Per molti motivi, primo dei quali perché le varie etnie sarde, malgrado cospicue differenze di lingua e di cultura, hanno in comune come minimo il rispetto di valori fondamentali in cui credo anch'io. Quindi con loro mi ci trovo bene, parlo della generalità della gente sarda. Un altro motivo è l'ambiente ed è inutile descriverlo, basta guardarsi attorno; credo sia uno dei più spettacolari e dei più puliti d'Europa (anche se io faccio di tutto per bilanciarlo). Un altro motivo per cui io resto in Sardegna è che qui ho sempre un'azienda agricola, che va in qualche maniera seguita. Anche perché un domani io non posso dire ai miei figli "Vi saluto e vi lascio cinquanta canzoni per uno", perché nel mio repertorio non compaiono canzoni come Blue Moon, Star Dust né tantomeno Bianco Natale; voglio dire canzoni che, dal punto di vista dei diritti d'autore, riescono a rendere ricche due o tre generazioni.

Fabrizio, guardando al tuo passato come ti consideri: più cantautore o più poeta? E quali sono le differenze, se esistono, tra canzone e poesia?

A questa domanda ti devo rispondere come tante volte ho già risposto. Benedetto Croce diceva che, fino all'età di diciotto anni, tutti scrivono poesie; dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle solo due categorie di persone: i poeti e i cretini. Quindi io, precauzionalmente, preferirei considerarmi un cantautore. Per quanto riguarda l'ipotesi di differenza fra canzone e poesia, io non ho mai pensato che esistessero arti maggiori o arti minori ma, casomai, artisti maggiori e artisti minori.

Quindi se si deve parlare di differenza tra poesia e canzone credo che la si dovrebbe ricercare soprattutto in dati tecnici.I giovani di ieri e di oggi ti considerano una sorta di punto di riferimento culturale, cosa ne pensi?

Probabilmente perché anch'io ho avuto dei punti di riferimento precisi che, a loro volta, avranno avuto sicuramente dei riferimenti in questi punti luminosi della storia dell'espressione umana. Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali siano destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre.




Nelle antologie scolastiche sono inseriti molti testi delle tue canzoni. La cosa ti imbarazza o ti fa piacere?

Direi che mi imbarazza proprio perché fondamentalmente mi fa piacere. Provo un leggero imbarazzo di fronte a questa mia piccola vanità.

Qual è la canzone che più ti somiglia?

Sicuramente "Bocca di rosa"...

Di cosa ha paura oggi Fabrizio De Andrè?

Sicuramente della morte. Non tanto la mia che, in ogni caso, quando arriverà (se mi darà il tempo di accorgermene) mi farà provare la mia buona dose di paura... quanto la morte che ci sta attorno, lo scarso attaccamento alla vita che noto in molti nostri simili, che si ammazzano per dei motivi molto più futili di quanto non sia il valore della vita. Io ho paura di quello che non capisco, e questo proprio non mi riesce di capirlo.

Che valore hanno per te l'utopia e il sogno?

Penso che un uomo senza utopia, senza sogno e senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio: una specie di cinghiale laureato in matematica pura. Fabrizio, che tipo di presenze ha per te oggi il mare?Pare che perfino Attila si sia fermato davanti al mare. Attila sicuramente non era un buon marinaio, ma può darsi che davanti al mare gli sia bastato sedersi ed immaginare.

Tu che tipo di complicità hai con il mare?

Il mare separa e unisce popoli e continenti. Nel momento in cui li separa direi che stimola il sogno e la fantasia. Nel momento in cui li unisce, vale a dire nel momento dell'intrapresa del viaggio, ti mette in rapporto costante con la realtà. Per quanto mi riguarda, quindi per quanto riguarda il mio mestiere, direi che la complicità con il mare è duplice: c'è una complicità poetica e ce n'è una giornalistica.

Qual è il desiderio che vorresti realizzare?

In questo momento siamo di nuovo un po' al sogno, al desiderio irrealizzabile, all'utopia, ma, sicuramente, in qualsiasi luogo o in qualsiasi momento, rincontrare mio padre.

Che cos'è per te oggi, nel fondo del fondo, la canzone?

La canzone è una vecchia fidanzata con cui passerei ancora molto volentieri buona parte della mia vita, sempre soltanto nel caso di essere benaccetto.


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